L’origine etimologica del termine fruire è latina: fruire da frui, frui-tus o fruc-tus, avere vantaggio di qual cosa, godere di qualche beneficio, nutrirsene. L’utilizzo contemporaneo del termine non è cambiato e quindi se l’oggetto della fruizione è un’opera d’arte, fruire significa giovarsi dell’esperienza data dalla sua conoscenza. Esiste tuttavia un’altro termine affine: contemplare. Il suo significato viene spesso ricondotto ad un atteggiamento di passività, in origine invece contempliàri (dal latino: con per mezzo, templum lo spazio del cielo, spazio o circolo d’osservazione che l’augure descriveva col suo lituo per osservare al suo interno il volo degli uccelli) significava “trarre qualche cosa nel proprio orizzonte” e descriveva l’atteggiamento di chi solleva lo sguardo verso una cosa che desta meraviglia. E’ l’origine augurale che mi preme riscoprire e ricondurre al carattere profetico dell’arte: “Valutare o fruire un’opera d’arte”, scrive Giovanni Vattimo, “non significa altro che incontrare un mondo nuovo e provare ad abitarci. Questo proprio perché il senso dell’arte (…) è l’accadere di una radicale novità sul piano dell’essere-nel-mondo, è la fondazione di questo stesso essere-nel-mondo.” (Giovanni Vattimo, Opere complete, I Ermeneutica, Tomo 2, Roma, Meltemi Editore, 2008, p.74.) Così se all’origine contemplare significava disegnare uno spazio nel cielo per osservare il volo degli uccelli e leggervi il parere degli dei sulle umane scelte di vita, contemplare un’opera d’arte è come affidarsi al volo dell’artista per raggiungere una conoscenza e insieme un godimento, che altrimenti non sarebbe dato.